31 gennaio 2010

purtroppo per problemi di leggibilità ho dovuto spezzettare il fumetto in quattro parti.










16 gennaio 2010

Avatar

Ebbene sì, ieri sera, nel giorno d'uscita nelle sale, mi sono recato assieme ai miei copagnucci di corso a guardare il tanto discusso Avatar.
Pago 7€ l'ingresso (proiezione in 3D, ridotto studenti), mi faccio consegnare i miei occhialini polarizzati e vado a sedermi in sala.
Il luogo è affollato, come c'era da aspettarsi...
Inizia il film, sembra di guardare da una finestra: le tre dimensioni ci sono tutte, anche se si fa un po' fatica ad abituarsi e il primo quarto d'ora lo passo a stropicciarmi gli occhi.
La trama è semplice, una Pocahontas blu e alta quattro metri, con tanto di salice magico.
Anche il livello di tamarraggine non scherza, e i marines lo dimostrano senza nessun problema.
A parte questo gli effetti speciali sono geniali, Pandora (il pianeta alieno) sembra vero, come vere sembrano le emozioni degli omoni blu, che non sono semplicemente fatti al computer, ma recitano come se fossero in carne ed ossa.
Niente male davvero queste nuove tecnologie...
Il responso finale è decisamente positivo.

15 gennaio 2010

H2CO3

Leggendo le dispense che devo studiare per l'esame è venuta a galla l'ennesima scottante verità.
Siccome adesso ho poco tempo ve la dico senza tanti preamboli, anche se così facendo potrebbe essere scioccante per alcuni di voi, ad esempio te!

L'ANIDRIDE CARBONICA DISCIOLTA NELLE BEVANDE GASATE REAGISCE IN PARTE CON L'ACQUA PER FORMARE ACIDO CARBONICO!!!

Prova scientifica:
CO2 + H2O --> H2CO3

Le malvagie multinazionali che tramano contro di noi, in primis la Coca Cola, anche sta volta stavano per fregarci tutti, ma anche sta volta la cultura ci ha salvato!

Sapere è potere - Francesco Pancetta

11 gennaio 2010

Italiani brava gente...

Non scriverò nulla, mi limito a copiare-incollare due articoli presi da 'Il Fatto Quotidiano'.



Braccia nei campi, nulla fuori. Dove il sogno del lavoro è incubo

di Mimmo Calopresti

Rosarno, uno svincolo della ormai inutile ed impercorribile Salerno-Reggio Calabria, il pezzo di autostrada che mai nessun governo è riuscito a terminare e che rende la parte bassa della Calabria il luogo più lontano dal resto dell’Italia. Non mi viene in mente un altro modo di definire quel luogo. Un nome che sfugge dallo sguardo subito dopo averlo messo a fuoco, mentre stai andando da qualunque altra parte.

È un non luogo: da quello svincolo o ci si addentra nella Piana di Gioia Tauro, fino ad arrivare al porto, o si imbocca la superstrada che porta all’altra costa, venti minuti per passare dal mar Tirreno al mar Jonio, e in mezzo il nulla. In quella parte della Calabria non c’è che il nulla e, in più, d’inverno fa freddo, niente a che vedere con l’immaginario classico del sud: sole, mare e tutto il resto.

Nella Piana gli agrumeti e gli uliveti fanno da padroni. La raccolta, prima dei mandarini e poi delle arance, è un lavoro duro, ma è ancora un buon modo di fare soldi. Chi ha ereditato un pezzo di terra dai genitori ha evitato quell’emigrazione di massa che ha coinvolto i più e ora ha qualcosa di cui occuparsi. I più capaci hanno sviluppato un sistema semi industriale per riuscire a sviluppare la commercializzazione del loro prodotto, gli altri debbono accontentarsi, usando manodopera a basso costo, di rivendere il raccolto sul territorio.

Lavoro duro e malpagato che nessuno vuol più fare. Eppure qualcuno che ancora può fare quel lavoro c’è: sono gli stranieri, gli immigrati, quelli dalla pelle scura (ma più scura di quella dei ragazzotti del luogo), i neri, i negri.

Proprio i negri, quelli che arrivano dall’Africa nera, quelli che non hanno niente, che non hanno ancora capito se sono arrivati in Italia oppure chissà dove, che si illudono di essere lì solo di passaggio, prima di approdare nei luoghi della ricchezza e delle comodità.

I negri che si accontentano di vivere come bestie. Quelli che, d’altronde, ci sono abituati, quelli che si fanno la capanna con il cartone nei casolari abbandonati o, peggio, per paura di essere derubati dormono tutti insieme, per terra, in una fabbrica abbandonata e data al fuoco qualche anno fa.

Gli unici rapporti sono quelli con un parroco di buona volontà. Gli unici luoghi di contatto con il resto del mondo: i supermercati, dove comprare il minimo indispensabile per sopravvivere. Lì c’è l’incontro, lì c’è lo scambio. Ma non ti venga in mente di rivolgere qualche parola di più alla cassiera, altrimenti scoppia il casino: se fino a quel punto, in quel mare di desolazione, i ragazzi del luogo ti avevano solo preso in giro e quando ti incontravano in paese ti scansavano perché i negri puzzano, a quel punto fanno il salto di qualità e ti sparano.

Per carità niente colpi di lupara, basta un fucile ad aria compressa ed eccoti umiliato, non si parla e non si scherza con la donna bianca. Allora non sopporti più, ti sembra troppo, hai voglia di alzare la testa, di dirlo in faccia a quei quattro ragazzotti che tu hai gia abbastanza cazzi per riuscire a sopportare quella vita di merda, che quando ti svegli al mattino non riesci a lavarti perché l’acqua è gelida, che durante il giorno, mentre lavori, hai le mani e i piedi rattrappiti dal freddo e, quando hai finito di lavorare, non c’è niente intorno a te che ti renda la vita sopportabile tranne un improvvisato fuoco intorno a cui passare la serata.

Non hai più la forza di pensare e sognare una vita migliore di questa, sei solo incazzato con te stesso per esserti infilato, senza sapere come, in un inferno senza vie d’uscita. Il casino, a quel punto, sei tu a cominciarlo, perché – come diceva Fabrizio De Andrè – chi non terrorizza si ammala di terrore. Cerchi di farti sentire. Vuoi far sapere a tutti che non sei più disponibile a fare quella vita; che, anche se hai accettato un lavoro da schiavo, se non sai che cos’è un contratto di lavoro, se non sai che esiste il sindacato, se non pretendi di essere tutelato da uno Stato di diritto che in una parte del suo territorio accetta che esista la schiavitù, hai comunque una dignità e una vita da difendere.

Vuoi affermare che non puoi essere scambiato per un tiro a segno, che la tua carne brucia non solo per il freddo che accumuli durante le troppe ore di lavoro, ma perché da troppo tempo il tuo cuore non riesce ad essere riscaldato dai suoni, dagli odori e dagli affetti della tua terra e quindi pompa in circolo solo sangue avvelenato. Rosarno brucia. Il resto dell’Italia è lontana, irraggiungibile.


Da Il Fatto Quotidiano del 9 gennaio






Dopo la caccia all’uomo, centinaia di immigrati trasferiti dalla città. E i caporali si riorganizzano



Il terrore lo leggi negli occhi di quelle due "prede" che cercano disperatamente di nascondersi. Spuntano sulle facce di due "negri" accovacciati dietro una volante della polizia che li ha "salvati" mentre vagavano per le campagne.

L'auto è ferma. Davanti, a pochi metri, ci sono le barricate dei bianchi. I "bravi ragazzi" di Rosarno, i vecchi, le donne che davanti alle tv recitano l'esasperazione. Urlano e le loro parole si sentono anche dentro l'auto. "Unn'è, unnu cazzu è sta mafia? I negri se ne devono andare, basta... E basta pure con questi giornali di merda che ci chiamano razzisti". Applausi, grida. E la paura dei poliziotti. "Qui ci linciano" sussurra uno di loro. Scende dalla macchina col manganello in mano per farsi spazio, il suo collega inverte la marcia. I ragazzi neri seduti dietro sono ormai sprofondati sotto i sedili.

La volante sfreccia e va via. Hanno paura i disperati di Rosarno, gli schiavi delle arance che hanno trasformato la loro ribellione in una violenza cieca che ora i bianchi esibiscono per giustificare tutto: barricate, gambizzazioni, caccia al nero topaia per topaia, casolare per casolare.

"Non è più come una volta, ve ne dovete andare che qui vi ammazzano". Davanti alla fabbrica dell'ex Opera Sila, monumento ai mille fallimenti della storia industriale della Calabria don Pino De Masi, prete e animatore di Libera, cerca di convincere i "negri" a salvarsi. Ci sono i pullman della prefettura che aspettano. Li porteranno a Bari, a Crotone, in Sicilia. Dovunque ma lontano dalla città nemica.

"Prete io non posso andare via, il mio padrone mi deve dare ancora i soldi". La paga dello sfruttamento, quei 20 euro al giorno che gli schiavi delle arance percepivano per raccogliere gli agrumi della Piana. Il prete è come un naufrago in mezzo al mare in tempesta, si fa dire il nome del "padrone", si attacca al cellulare e chiama. Rispondono in pochi. I negri vanno via, e se si può risparmiare anche quei quattro centesimi di salario va bene così.

Qualcuno non se la sente di venire davanti al ghetto, troppa polizia, troppe telecamere. E allora don Pino si incarica di raccogliere lui il salario della vergogna. Va avanti e indietro, poi torna e distribuisce quella miseria.Hassan, giovane rifugiato politico del Darfur: "Il mio padrone si chiama Rocco, deve darmi 600 euro, ho il numero, lo chiamo". Il cellulare squilla a vuoto. Hassan ha gli occhi gonfi di lacrime e le tasche vuote. Raccoglie i suoi stracci in un sacchetto nero della monnezza e sale sul pullman. La rabbia gli devasta il cuore, ma meglio l'umiliazione della miseria che finire sprangati. O impallinati dalle ronde. A uno dei ragazzi feriti all'alba del giovedì della vergogna hanno devastato l'inguine con cinquanta pallini da caccia.

A San Ferdinando hanno tentato di dar fuoco a un casolare isolato abitato dagli schiavi. "Sono arrivati con due macchine. Alcuni bianchi sono scesi con le taniche di benzina, altri avevano le spranghe in mano". Sul posto ci sono i vigili del fuoco e Laura Boldrini, dell' Unhcr. "Ormai è caccia all'uomo, come si fa a controllare tutti i casolari sparsi?". Chi può va via anche in macchina. Carrette sgangherate con targhe russe o ucraine. "Sono i caporali", dice a mezza voce uno dei migranti.



"A loro davo cinque euro al giorno per farmi portare in campagna". Sono vestiti meglio degli altri, hanno in tasca un paio di cellulari. Non si fanno inquadrare dalle telecamere. Sono l'élite della disperazione. Pasquale, invece, è uno dei "padroni". Si fa coraggio e viene a consegnare i soldi che deve. "Ma quale sfruttamento? Li pagavamo a cassetta. Più raccoglievano e più guadagnavano. I mandarini li pagano 20 centesimi al chilo. Come faccio a dare 40 euro al giorno a un bracciante regolare?".

Ci sono le telecamere e il signor Pasquale abbraccia una coppia di neri. Padrone e schiavi. Come fratelli. Vanno via i neri di Rosarno, i clandestini e quelli che in tasca hanno un permesso di soggiorno o lo  status di rifugiato. "Molti di loro", spiega un volontario, "vengono dal nord, prima della crisi lavoravano in fabbrica, poi sono stati respinti all'inferno". E sono diventati braccianti agricoli, pronti a sostituire i bianchi. Non perché a Rosarno e nella Piana non esistano braccianti bianchi, ci sono, molti lavorano la terra, altri (1.500 almeno) sono "fittizi": hanno tutte le carte in regola per prendere i sussidi dell'Inps, disoccupazione compresa, ma la campagna non la vedono mai. I più giovani aspettano. E ora sono a fare i blocchi.



Vanno via i negri che non sanno di sud e della sua particolare economia fatta di ricchezza e miseria, di eccellenza e arte di arrangiarsi, di lavoro vero e di assistenza, di sfruttamento e anche di solidarietà. E che consente di guadagnare sulle arance anche quando si lasciano a marcire sulle piante.

È storia di due anni fa, quando scoppiò lo scandalo dei contributi dell'Unione europea per il ritiro della produzione degli agrumi in esubero. Un  business da 45 milioni di euro. La centrale operativa del grande imbroglio era Rosarno, qui c'erano aziende che più che staccare arance dalle piante producevano fatture. False. Gli "onesti" agricoltori della Piana lucravano sulla sovrapproduzione e sulla trasformazione degli agrumi in eccesso in succhi da esportare. In Francia e Spagna.



"Ma ci siamo resi conto – ricorda Elizabeth Sperber, funzionaria dell' Olaf, l'ufficio antifrodi della Ue – che le aziende straniere nominate per ottenere i fondi o non esistevano o non avevano mai visto una arancia trasformata". Un meccanismo oliato. Imprenditori, funzionari pubblici, politici della Margherita e di Forza Italia: questo il teatrino dell'imbroglio. Vanno via i disperati dell'ex Opera Sila. Rosarno addio. Addio alla sua brava gente che non lascia i blocchi e le barricate. "Perché noi non siamo razzisti, ma i negri se ne devono andare".



Da Il Fatto Quotidiano del 10 gennaio




Infine aggiungo un link, giusto per schierarmi un po'.




8 gennaio 2010

Lanterninosofia

E mi svolse (fors'anche perché fossi preparato a gli esperimenti spiritici, che si sarebbero fatti questa volta in camera mia, per procurarmi un divertimento) mi svolse, dico, una sua concezione filosofica, speciosissima, che si potrebbe forse chiamare lanterninosofia. Di tratto in tratto, il brav'uomo s'interrompeva per domandarmi: - Dorme, signor Meis? E io ero tentato di rispondergli: - Sì, grazie, dormo, signor Anselmo. Ma poiché l'intenzione in fondo era buona, di tenermi cioè compagnia, gli rispondevo che mi divertivo invece moltissimo e lo pregavo anzi di seguitare. E il signor Anselmo, seguitando, mi dimostrava che, per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente, a cui la terra, il sole, l'aria, la pioggia, il vento, non sembra che sieno cose ch'esso non sia: cose amiche o nocive. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un tristo privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi e la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sé acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt'intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? - Dorme, signor Meis? - Segua, segua pure, signor Anselmo: non dormo. Mi par quasi di vederlo, codesto suo lanternino. - Ah, bene... Ma poiché lei ha l'occhio offeso, non ci addentriamo troppo nella filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d'inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana. Io direi innanzi tutto che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l'illusione, gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però, signor Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della vita individuale, si potrebbe determinare il predominio d'un dato colore, eh? In ogni età, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dà lume e colore a quei lanternoni che sono i termini astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io... E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù pagana? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù cristiana. Il lume d'una idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell'idea vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi che son detti di transizione. Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che spengono d'un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell'improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s'aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d'accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi pare, signor Meis, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? Alle lucernette superstiti, a quelle che i grandi morti lasciarono accese su le loro tombe?

(Pirandello, "Il fu Mattia Pascal")

Mi piace moltissimo l’immagine dell’io di cui parla qui Pirandello.
La coscienza di esistere è come un debole cerchio di luce, che mi imprigiona e mi divide dall’universo, che genera un confine inesistente tra il me e il non-me, e che quel poco che mi mostra è irrimediabilmente soggettivo, come se osservato attraverso un filtro colorato. Prendo coscienza degli altri attraverso il mio “lanternino” e gli altri fanno lo stesso, ma non potrò mai sapere se i lanternini sono gli stessi, se percepisco la realtà allo stesso modo.
La conseguenza è una sorta di incomunicabilità di fondo, che passa inosservata, manifestandosi solo in quegli atti di cui non cogliamo proprio la ragione. Una prospettiva della realtà abbastanza pessimista, ma che viene in parte o totalmente redenta dalla consapevolezza che questa luce è fittizia e che in realtà continuiamo a fare parte indissolubilmente del Tutto.
Trovo questa idea molto confortante. Non saprei bene spiegarne il motivo; forse il conforto è legato alla sensazione di sollievo che comporta lo stare in contatto con la natura, il girare scalzi o il gettarsi nell’erba fregandosene degli insetti e dei vestiti. O magari è semplicemente bella l’idea di non essere finalmente contrapposti a nulla, di non essere più in conflitto con un ambiente da cui dobbiamo difenderci.
La lanterninosofia mi piace molto non tanto per il contenuto di verità (discutibile) ma in quanto stimolo a ricordare di non prenderci troppo sul serio, che in fondo “il mondo è un teatrino e noi siamo gli attori”.
Spero di non avervi divertito troppo ;)

6 gennaio 2010

Best of '09

Bene, parliamo un po' di musica!
Avrete notato tutti che il 2009 è finito, un anno tranquillo per le uscite discografiche, almeno dal mio punto di vista.
Niente di troppo nuovo è giunto alle mie orecchie, solo cose più 'raffinate' magari.


Tirando le somme ho ritenuto degni di nota 4 album:


Innanzitutto i conosciuti (ebbene si, passano anche su MTV) White Lies, che con il loro 'To Lose my Life...' hanno raffreddato il mio primo semestre. Classica band londinese di rock alternativo, si distinguono a mio avviso per il basso imponente e gli azzeccati giri di sintetizzatore. Molto bravi anche dal vivo.


Poi passiamo ai Great Lake Swimmers, che nel 2009 hanno fatto uscire il loro quarto album: Lost Channels.
Questa è una band canadese, che ovviamente suona folk-rock.
L'album è particolarmente scorrevole e piacevole, senza risultare mai monotono.


Al terzo posto (che non è il terzo in ordine di importanza) metto i Silversun Pickups con Swoon. Band di Los Angeles che si ispira a My Bloody Valentine e Velvet Underground, ma anche a Modest Mouse, che però alla fine trova un sound molto simile agli Smashing Pumpkins. Un album profondo, forse pesante, ma senza dubbio una delle migliori cose che ho ascoltato quest'anno.


Infine aggiungo un album che ho scoperto da poco, grazie ad una nuova e non molto compresa passione per l'elettronica. Sto parlando degli Animal Collective e di Merriweather Post Pavilion. Il quartetto di NY, grazie alle più furiose sperimentazioni, è riuscito a creare un album psichedelico, senza capo nè coda che suona però dannatamente bene.


Attendo adesso le nuove uscite del 2010, con un occhio particolare sui Radiohead, chiusi in studio di registrazione e particolarmente esaltati. 


(Ho aggiunto un nuovo blog all'elenco di quelli che seguo con più interesse: 24Maggio. E' nuovo e ai primi post, ma decisamente interessante.)

4 gennaio 2010

We read

Inauguro qui a destra l'elenco di blog che noi, o almeno io, leggo più frequentemente.
Failblog: per ridere.
Spinoza: per non piangere.
Il Disinformatico: per disdisinformarsi.

3 gennaio 2010

Stavo dando un'occhiata a Wikipedia, leggevo i riassunti dei fatti principali accaduti durante gli anni '00.
Pensavo anche di riportarne qualcuno in questo post, ma poi l'ho ritenuto inutile: mettere degli eventi in un elenco fa perdere loro importanza, oltre a causarmi una forte nostalgia.
Allora che dire? 
Mi chiedo cosa scriveranno nei libri di storia riguardo questo decennio.
Beh, parleranno di torri gemelle, di euro, di guerre, di crisi...
E la gente cosa penserà?
Cioè, gli anni '80 se li ricordano per la musica trash, i '90 per le camicie di flanella...e i '00 (che penso si legga duemila, ma non ne sono poi così sicuro) ?
A dir la verità non so nemmeno io per cosa li ricorderò, credo saranno gli anni a decidere.


Intanto sto ascoltando l'ultimo album dei Pearl Jam, Backspacer, uscito nel 2009, niente di nuovo, solo grande talento per far sembrare attuali le stesse camicie di flanella di cui parlavo quache riga sopra.


Guardo fuori e vedo una giornata soleggiata, una bella giornata, una rarità negli ultimi tempi, da fare una camminata all'aperto se solo non ci fosse da studiare.
Adesso però ho capito per cosa vorrei che questo decennio venga ricordato, ma no, non lo dirò.


Buon 2010.

2 gennaio 2010


i capelli come raggi dorati,
le ciglia arcobaleni,
gli occhi pietre preziose,
le labbra corallo,
i denti tante perle,
il seno eburneo...

...e il naso???
perchè il naso NO?

questo è un post it a favore del naso, a simbolico risarcimento per l'offesa
che di continuo gli arrechiamo.

EVVIVA IL NASO! EVVIVA IL NASO! EVVIVA IL NASO!