26 settembre 2010

Racconto breve, molto breve

Era da tanto che non leggevo un raccontino del genere, certo, non credo di averci capito molto, però mi è abbastanza piaciuto.
Visto l'Hammurabi di ieri non potevo non linkarlo...

24 settembre 2010

Naturalezza.

Perché a me sembra naturale poter scrivere quello che penso, quello che voglio su questo blog.
Da 'porcodio' a 'berlusconi è una testa di cazzo'.
Evidentemente sono fortunato, tanto fortunato.

Chissà se avrei abbastanza coraggio...


Ah sì, già che ci sono, mi sembrerebbe naturale poter iniziare le lezioni lunedì prossimo. Ma evidentemente non sono così fortunato.
Perché, porcodio, berlusconi ha tirato su un governo di teste di cazzo, sfruttando l'idiozia di tutti noi teste di cazzo.
I ricercatori fanno bene, siamo noi che ci siamo grattati fino ad adesso. 

Che sia ora di fare qualcosa?

23 settembre 2010

Nuclear

Nucleare. Inerente al nucleo, credo voglia dire.
Ci sono molte cose nucleari, ad esempio l'energia. Poi ci sono le esplosioni, poi la fisica, e poi tante altre cose che non sto ad elencare più perché non mi vengono in mente che perché non abbia tempo.

Le opinioni sulle ultime due cose ce le ho abbastanza chiare, le esplosioni sono male e la fisica è bene.

Le idee sono invece confuse riguardo all'energia.
E se ne parla molto.
Cioè, se ne parla molto e non ho ancora capito cosa penso.

Perché ci sono certi giorni in cui mi sveglio quasi ambientalista, e vorrei che il mondo funzionasse a mulini a vento, in una specie di anarchia preistorica.
Niente scorie, niente grosse centrali, niente preoccupazioni per la luce la sera.

Altri giorni invece penso che tanto il resto del mondo ci vive, quindi avere una centrale sotto casa non può di sicuro farmi più male della ferriera qui a Trieste.
Niente più soldi spesi per comprare elettricità dai francesi, niente più comizi di comunistardi invasati, niente preoccupazioni per la luce la sera.

E ancora non so decidermi, pur conoscendo i pro e i contro.
E' più forte di me.

Vi starete chiedendo perché ne parlo, e perché là in basso potete leggere la tag 'music'. Beh, è semplice, sto ascoltando i Working for a Nuclear Free City. Gruppetto inglese, primi due album nel 2006 e 2007, poi niente fino al prossimo ottobre.

Io sono un po' trepidante. 

Perché il loro lavoro, soprattutto il secondo (Buisnessmen & Gosts), che ho scoperto qualche giorno fa, sembra moderno anche adesso, nonostante ne sia passata di acqua sotto ai ponti.

Un indie-rock evidentemente di oltremanica, che lascia molto spazio a suoni insoliti, a volte elettronici a volte acustici, sempre molto tranquilli, riuscendo comunque a fondere più generi in ogni traccia.

Forse è uno dei gruppi più complicati da ascoltare  di cui ho parlato, ma se il tuo ascolto mi incuriosisce mentre studio termodinamica, hai sicuramente meritato il posto in questo blog.




20 settembre 2010

Burro Volare

Alle volte mi capita di fare dei paragoni tra i videogiochi e la vita reale.
Certamente non sono il solo, credo che esista un grande filone culturale riguardante argomenti inerenti. Da piccolo avevo visto un film dal titolo “Nirvana”. Non mi ricordo quasi nulla a parte che il protagonista si trovava imprigionato in un videogioco e con l'aiuto di un giocatore doveva uscirne. Vabbè, sto divagando apposta.

Una delle cose che volevo farvi sapere è che mi immagino l'autostima come una barretta verde, in alto a destra nello schermo della nostra vita: questa barretta si può accorciare di botto se ti capita qualcosa che ti fa perdere autostima, ma anche se non capita nulla essa si accorcia inesorabilmente, è l'assenza di avvenimenti positivi a farla decrescere. La barretta si restringe, diventa gialla, poi rossa; scatta la depressione, ahah! C'è bisogno di avvenimenti positivi che la ricarichino, possibilmente distribuiti nel tempo in modo omogeneo.
[...]
Man mano che giochi la difficoltà aumenta, ma allo stesso tempo diventi più bravo/ il tuo personaggio diventa più forte/ aumentano gli strumenti a tua disposizione. Man mano che vivi capita un po' la stessa cosa. Pensavo al linguaggio, in particolare. Da neonati non è indispensabile saper parlare, da bambini è poco importante parlare correttamente, da adolescenti non è necessario un linguaggio forbito. Ora io ho bisogno di tutte queste cose per cavarmela. La difficoltà potrebbe aumentare ancora, per esempio: parlare correttamente in un linguaggio sufficientemente forbito in una lingua straniera. Alle volte mi pesa la necessità di un mezzo così complesso come il linguaggio solo per poter dire cosa sto pensando. Che poi ciò che dico dovrà anche essere intepretato. Soggettivamente. E l'Incomunicabilità è lì annidata, aspetta solo che tu apra bocca.
[...]
Una cosa che manca alla vita reale e c'è nei videogiochi è la possibilità di salvare. Salvare e ricaricare, che bello sarebbe! Checchè ne dicano film come “The Butterfly Effect”.

Avete mai notato che butterfly vuol dire pressapoco burro-volare?

19 settembre 2010

Non si dice di no al collega.

No, perché il collega rompeva, che il legno proprio non gli andava giù.

Voleva qualcosa di gaio.

E allora lo accontento, no?


E accontento me, aggiornando la lista dei blog che leggo assiduamente.

E magari accontento anche voi, perché in fondo i Tired Pony non sono male, e questo giro di chitarra è maledettamente orecchiabile.




18 settembre 2010

Somewhere

C'ho provato, ma Wild Hunt non mi è ancora uscito dalla testa, quindi, non potendo parlare nuovamente di lui, mi toccherà parlare di un film.

Somewhere.

Certo, l'introduzione era un po' un inganno, perché in realtà avevo voglia di parlare proprio di quello.

E' l'ultimo film di Sofia Coppola (Il giardino delle vergini suicide, lost in traslation, etc.), ha vinto il leone d'oro all'ultimo festival di venezia, e monate simili.
Sono andato a vederlo perché era suo, della Coppola intendo: i suoi film mi sono quasi sempre piaciuti.
Parlavano, i film, piuttosto chiaramente, pur rimanendo nella nicchia per cui erano stati girati.
Mi piacevano per le musiche: quella donna è un genio nel scegliere le colonne sonore. 
Per somewhere invece ha scelto il silenzio.
Il silenzio confuso di chi vive una vita in discesa, di chi viene vissuto dalla vita, piuttosto che il contrario.
Un padre, che è anche un attore, che è anche un donnaiolo, che è anche un beone dipendente dai tranquillanti, che è anche un uomo in fondo.
E una bambina, che tanto bambina poi non è, ma che in altro modo non si può chiamare.

Le cose capitano. 

In posti a caso, che potrebbero essere un motel, un albergo a dodici stelle o una sobria piscina, somewhere insomma.

Accadono lasciando il disagio di non sapere perché, di sentire che c'è qualcosa di forzato in tutta la normalità, ma di sapere anche che nulla c'è di anormale.

E poi partono gli Strokes.

Iniziano e temi che il film sia già finito senza aver detto nulla. Ma il film va avanti ancora, senza dirti nulla, e poi finisce, finisce sul serio, e tu sei lì, un po' stupito di fronte ai titoli di coda, col tuo sorriso stampato sulla faccia se riconosci che Chris Pontius è quello di Jackass.

Eri già pronto al finale ad inizio canzone, quindi non subisci il colpo.

In fondo ti dici che non hai capito molto perché il film era mediocre. 


Ma sai che il disagio non viene dal film, sai che non era così lento come lo descriverai, sai che quel qualcosa che non capisci non era nel film, ma è in te.
E' un disagio strano, non mi rendevo conto di averlo, ma che evidentemente era latente. Parla della vita al giorno d'oggi, di quel qualcosa che accomuna noi persone comuni alle star del cinema, noi occidentali insomma.

Non ho capito come me l'ha suscitato, né perché.
Mi ha infastidito, ma, però, mi è piaciuto.

12 settembre 2010

Torniamo alla musica.

Di nuovo a Trieste, sì, questa volta si può dire lontano dal frastuono, dalla gente, dalle automobili.
Cenetta tranquilla, litigi con la lavastoviglie, solito rapporto amichevole con la lavatrice.
Coinquilini dormienti, rumori di motorini e autobus fuori dalla finestra. 
Le luci accese del condominio di fronte che si spengono una alla volta, Bertrand Russel accasciato di fianco al letto.
Computer sulle ginocchia, sopra uno strato di lenzuola e copriletti vari.
Finalmente un po' di calma.

Si può scrivere qualcosa, 
e visto l'atmosfera non si può fare a meno di scrivere di
The Tallest Man on Earth.

Pseudonimo di un musicista folk svedese, che poco ha a che fare con la sua terra.
Sembra piuttosto il nipote di Bob Dylan, o un sosia di Chris McCandless, più probabilmente entrambi.
Le canzoni scorrono morbide, accompagnate dalla classica chitarra, rievocando più le campagne nordamericane che i fiordi nordeuropei.
Le canzoni scorrono, certo, ma la voce colpisce.
L'album si intitola The Wild Hunt, è uscito quest'anno ed è la seconda fatica dell'uomo più alto della terra.



11 settembre 2010

Un grosso contatore.

In tempo reale. Di euro. Ecco cosa ci vorrebbe.
Io lo vedo ogni volta che uno di quegli aerei acrobatici mi vola sulla testa. 


I seicentomila (un sei e 5, dico, cinque zeri) che accorreranno a Rivolto a passare la giornata a naso in su guardando le Frecce Tricolori non credo la pensino così.

50 di orgoglio nazionale un cazzo, dico.

Perché sono anche i miei soldi che bruciano dentro a quei motori.

Certo, non pretendo che questi soldi vengano investiti nel mio futuro, sarebbe troppo sperare di avere, in futuro, uno stipendio per fare quello per cui sto studiando. 
Ma che almeno finiscano in tasca a qualcuna di quelle poche decine di migliaia di persone che si alternano ogni settimana a protestare davanti ad un ministero...beh, non è troppo brutta come idea.

E sono anche miei i polmoni che bruciano, perché a piombo e croce quelle cose inquinano più di un'autotreno rumeno.

E farebbero bene a bruciare le tasche di chi mi dice che tutto questo casino serve a far girare soldi in città. 


Non abbiamo bisogno di QUEI soldi.


Abbiamo bisogno di una nuova mentalità. 


Prima di tutto c'è bisogno di cultura, di partecipazione, di uscire il sabato sera e sentire della musica, buona,
di uscire il venerdì sera e vedere un film, bello.
Di camminare per la città, di fermarci ad ascoltare qualcuno che ci propone un buon libro, anche una poesia, mi sbilancio, ma pur sempre qualcosa.

Invece no.

Calma piatta, fino a quando 4 tonnellate di ferro si alzano da terra, fanno due piroette pisciando fumo colorato, 
e tutti felici.
Coda sulla statale, si torna a casa, passato un bel weekend, portafoglio e scatola cranica più leggeri.
E i codroipesi felici, tasche piene, ci si può pagare l'aperitivo al Centrale.


Calma piatta, come anche l'encefalogramma.

Bella merda.






(E, sì, sarà che la folla, gli aeroplani, l'esercito e il patriottismo mi indispongono, ma sono piuttosto incazzato.)


9 settembre 2010

3 settembre 2010

Homo Homini Homo

Una volta una mia amica mi chiese che superpotere mi piacerebbe avere e io le risposi che mi sarebbe piaciuto poter leggere la mente delle persone (in realtà inizialmente avevo scelto di poter essere felice a comando, ma chiaramente non era la risposta per cui la domanda era stata rivolta).

Ora, riguardo il poter leggere la mente, non ne sono più tanto convinto. Anzi.
Credo che se all'improvviso gli esseri umani potessero vedere i pensieri e i sentimenti delle altre persone, la maggior parte sprofonderebbe nel dolore. Diventare consapevoli tutto d'un tratto che per gli altri non siamo il fine, ma soltanto un mezzo da cui ricavare felicità, sarebbe probabilmente inaccettabile per il nostro ego. Sarebbe un po' come trovarsi completamente e improvvisamente soli all'universo, ma circondati da sofisticate macchine pensanti che agiscono esclusivamente per sè stesse. Poter leggere la mente equivarrebbe a vivere la vita in solitudine.

Meglio insomma non avere mai un potere simile, così che tutto quanto ho scritto finora rimanga una supposizione, facile da dimenticare sepolta dall'illusione del "mondo che gira intorno a noi".