18 settembre 2010

Somewhere

C'ho provato, ma Wild Hunt non mi è ancora uscito dalla testa, quindi, non potendo parlare nuovamente di lui, mi toccherà parlare di un film.

Somewhere.

Certo, l'introduzione era un po' un inganno, perché in realtà avevo voglia di parlare proprio di quello.

E' l'ultimo film di Sofia Coppola (Il giardino delle vergini suicide, lost in traslation, etc.), ha vinto il leone d'oro all'ultimo festival di venezia, e monate simili.
Sono andato a vederlo perché era suo, della Coppola intendo: i suoi film mi sono quasi sempre piaciuti.
Parlavano, i film, piuttosto chiaramente, pur rimanendo nella nicchia per cui erano stati girati.
Mi piacevano per le musiche: quella donna è un genio nel scegliere le colonne sonore. 
Per somewhere invece ha scelto il silenzio.
Il silenzio confuso di chi vive una vita in discesa, di chi viene vissuto dalla vita, piuttosto che il contrario.
Un padre, che è anche un attore, che è anche un donnaiolo, che è anche un beone dipendente dai tranquillanti, che è anche un uomo in fondo.
E una bambina, che tanto bambina poi non è, ma che in altro modo non si può chiamare.

Le cose capitano. 

In posti a caso, che potrebbero essere un motel, un albergo a dodici stelle o una sobria piscina, somewhere insomma.

Accadono lasciando il disagio di non sapere perché, di sentire che c'è qualcosa di forzato in tutta la normalità, ma di sapere anche che nulla c'è di anormale.

E poi partono gli Strokes.

Iniziano e temi che il film sia già finito senza aver detto nulla. Ma il film va avanti ancora, senza dirti nulla, e poi finisce, finisce sul serio, e tu sei lì, un po' stupito di fronte ai titoli di coda, col tuo sorriso stampato sulla faccia se riconosci che Chris Pontius è quello di Jackass.

Eri già pronto al finale ad inizio canzone, quindi non subisci il colpo.

In fondo ti dici che non hai capito molto perché il film era mediocre. 


Ma sai che il disagio non viene dal film, sai che non era così lento come lo descriverai, sai che quel qualcosa che non capisci non era nel film, ma è in te.
E' un disagio strano, non mi rendevo conto di averlo, ma che evidentemente era latente. Parla della vita al giorno d'oggi, di quel qualcosa che accomuna noi persone comuni alle star del cinema, noi occidentali insomma.

Non ho capito come me l'ha suscitato, né perché.
Mi ha infastidito, ma, però, mi è piaciuto.

1 commento:

  1. Ahahah, e io che ho rinunciato al film per una serata poker! Ma non me ne pento :)

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