15 giugno 2010

Cincillà!

Questa mattina stavo tornando a casa col treno e non avendo nulla da fare mi sono messo a pensare a una delle tante inutili problematiche che riguardano l’etica. Mi sono chiesto se sia “male” uccidere gli insetti e, più in generale, gli esseri viventi che sembrerebbero non provare sentimenti. Solitamente evito di ucciderli senza motivo perché altrimenti l’imperativo morale “uccidere è sbagliato!” mi creerebbe un leggero senso di colpa. Già il fatto però che l’insetto in questione sia una zanzara e mi stia pungendo mi permette di mettere da parte la morale, e questo dimostra quanto in realtà ritengo poco importante la sua vita. Sicuramente la vita di un cane, o di qualsiasi altro animale “superiore”, mi appare molto più importante, praticamente al pari di quella umana. Ma la vita di un uomo è davvero più importante di quella di una zanzara? La vita in quanto tale non si porta dentro nessun valore, il quale è soltanto soggettivo. Il criterio che mi viene spontaneo utilizzare per stabilire l’”importanza” della vita di un animale è la sua capacità di provare emozioni, ma non poggia su alcun ragionamento logico, quanto piuttosto sul fatto che più qualcosa mi somiglia più la sua sofferenza e la sua morte mi coinvolgono. Così un mammifero mi sembra molto più importante di un insetto.

Il corso dei miei pensieri stava come al solito prendendo la via del “la vita è senza senso, tutto è senza senso” e da ciò mi è venuto in mente Schopenhauer. Egli sosteneva tra le tante cose che l’uomo soffre più di tutti gli altri animali perché è l’unico ad essere consapevole dell’insensatezza della vita e per quanto possa soddisfare i suoi desideri ne avrà sempre di nuovi, senza mai essere pago. E se invece esistessero degli animali che soffrono per il solo fatto di esistere? Dopotutto la selezione naturale porta avanti le specie che si adattano meglio, non le più felici. Chissà se ce né qualcuna i cui individui stanno male, e questa sofferenza non influenza o addirittura favorisce il successo della specie! Ne so ben poco sulla teoria dell’evoluzione e nulla di anatomia, quindi può darsi che non si possa verificare un caso simile. Ma, in fondo, per il nostro simpatico filosofo la specie umana ha proprio queste caratteristiche (la capacità di desiderare ha favorito la nostra specie sulle altre) e in effetti quello che per noi è il nostro stato normale potrebbe essere considerato sofferenza rispetto a uno stato di felicità maggiore, magari possibile in linea teorica per un essere vivente. I cincillà potrebbero essere molto più felici di noi.


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